Le Fiabe interdette di Anna Caruso
Una volta, io ero.
Non un frammento, ma l’intero. Ero il sogno, compatto, che non temeva la realtà.
Ero il cuore di una fiaba. La bambina, la principessa. L’anima. Lo specchio nascosto in ogni stagno. La voce e la visione. L’infrangibile magia di una storia senza tempo.
Percorrevo i sentieri dell’innocenza, cercando luoghi di stupore. Poi, un giorno qualunque di un anno che non c’è, cerca, cerca… cammina, cammina… inseguendo un inganno ho smarrito la strada. Pollicino senza briciole, non l’ho più ritrovata!
Tutt’intorno non era bosco e non era notte. E non era neppure la luce lontana di un tunnel aperto al di là di una tana. Era rumore, piuttosto. Era un eccesso di luci e colori. Un caleidoscopio di vetri e ridondanti fluorescenze. Era un tempo che non abita le fiabe. Era un’altra vastità. Sconosciuta e spaesante. Una dimensione capovolta, nella quale ero piombata all’improvviso. Come catapultata da un singhiozzo della storia.
Resto attonita a giganteggiare nella confusione di un mondo che non comprendo. E che non so abitare. Sono alta quasi quanto queste torri vitree tappezzate di volti e parole. Tutto questo colore è divertente, ma non ne capisco il senso, la ragione, la funzione.

Gli abitanti di questo luogo sono così fragili! Una legione di piccolissimi soldati tutti ben vestiti, che corrono chissà dove, sempre con il fiatone.
Mi camminano tra le caviglie, senza accorgersi di me. Hanno fretta. Hanno rabbia. Hanno ambizioni unte di paura.
E non trovano il tempo per fermarsi,
non trovano il tempo per cercarsi,
non trovano il tempo per ascoltarsi.
Non trovano il tempo per me.
Mi domando, allora, chi di noi è reale?
Disorientata e infranta, inizio a sparpagliarmi. Una volta, in un luogo lontano, in un tempo sospeso vi assicuro, io ero. Oggi, invece, sono una visione che si frammenta tra l’asfalto e il cemento. Sullo sfondo di questo frastuono, la mia voce si racconta ancora. Rotta, come un giocattolo in disuso. Sono reale o non lo sono? Sono visione o visionaria? Sono io più vera del vero? O vivo il disordine di una bugia?
Onirismi che si sbucciano tra gli spigoli della contemporaneità. Sono le fiabe esplose di Anna Caruso.
Alice, il Bianconiglio, Cappuccetto Rosso, Biancaneve: solitudini smarrite nell'irrealtà di un mondo che ha perso la capacità di ‘sentire’. E se l’arte è soprattutto visione, come affermava Jean Dubuffet, le visioni metropolitane di Anna Caruso si animano di personaggi simbolici, per indagare i vuoti del nostro tempo.

Tra le pagine di Carroll, Perrault o dei Fratelli Grimm i buoni vincono e tutti finiscono per vivere felici e contenti.
Non è esattamente quello che accade nelle opere della Caruso, in cui la trama della fiaba viene interrotta, e la sua eroina viene strappata dal contesto narrativo per essere letteralmente teletrasportata in una dimensione che non le appartiene. È quel singhiozzo della storia, che come un sussulto sismico la spiazza, la infrange, e la disorienta.
Anna Caruso pone come principale operazione della sua azione pittorica una decontestualizzazione di evidente matrice duchampiana, abolendo anche quella netta distinzione tra buoni e cattivi. Con pennellate di colore acrilico accostate e giustapposte su tele preferibilmente serigrafiche, Anna dà vita ad un mondo dentro al mondo. Adottando una tecnica dinamica costruisce, con grande rapidità, architetture e anatomie, sovente colte in prospettive grandangolari.
Nei panni di Alice, Anna ha scoperto che l’apparente dissonanza tra quel costume e il contesto urbano può invece simboleggiare l’attuale condizione dell’artista, sempre in qualche modo fuori luogo, baconianamente ingabbiato in una realtà deformante e asfissiante. Ma proprio per questo capace di raccontarla!

I Mostri di FILO Goldie, Monsieur Crabe, Madame Pelosino... Due lunghe gambe e labbra smaltate, in equilibrio sui tacchi non sono meno sensuali di una tazzina ricoperta di pelliccia.

Parimenti impellicciati, parenti della tazza di caffè di Meret Oppenheim. "Colazione in Pelliccia". Sembrò assurdo prendere il caffè in questa celebre opera d'arte, prima ancora che fosse internata in un Museo.
Santo Cottolengo, Giuseppe Benedetto Cottolengo.
Ospiti del Cottolengo sfrattati che hanno deciso di trascorrere le loro vacanze estive in galleria Famiglia Margini.
Mostri mostruosi! Monstrum, parola antichissima per definire quell'essere meraviglioso venuto da lontano, usata dagli antichi romani con felice stupore fino al giorno dell'arrivo dei popoli barbari.
Scherzi della natura e dinamiche interdette si mettono in scena nella triplice azione di pulsione e repulsione ...suspense. Prodigiose creature da rapire con un piglio feticista.

Filippo Corato, alias FILO, e i suoi Mostri nascono attorno ad un palloncino come i sogni di un fanciullo che recupera la magia in piccoli pezzettini di materia abbandonati, e li rende preziosi con squisiti giochi di fantasia.